2002
Letizia Fornasieri, Galleria Lawrence Rubin, Milano
A cura di Luca Beatrice
“Ai frequentatori dell'ambiente artistico milanese degli ultimi anni sarà certo capitato di incontrare la pittura di Letizia Fornasieri: tanto appartata quanto talentuosa, tanto silenziosa quanto caparbia. Agli altri, e sono la maggior parte, non dovrebbe più sfuggire l'occasione di verificare, senza alcun pregiudizio pregresso, l'opera di un'artista che continua a dimostrarsi un'inquieta sperimentatrice pur muovendosi all'interno di una figurazione ben ancorata alla tradizione pre-avanguardista e alla stagione d'oro del primo Novecento italiano. La pittura è un linguaggio lento, da affrontare con tempi dilatati che si distinguono dalla gran corsa del reale quotidiano, una tecnica che matura senza eccessiva fretta ma che, prima o poi, può giungere a traguardi veramente notevoli.
Sono quasi due decenni che Letizia Fornasieri dipinge oscillando tra dentro e fuori. Il dentro riguarda la contemplazione di una stanza chiusa, l'osservazione minuziosa degli oggetti, il soffermarsi su angoli in penombra, il ritrarre (e il ritrarsi) all'interno di una situazione domestica, familiare, in apparenza rassicurante. Tutte poetiche ben presenti in altri linguaggi, ad esempio nella fotografia, che invece la pittura ha schivato come per pudore e solo oggi, dopo essersi affrancata dall'eroismo degli anni '80 e dal neo-giovanilismo dei '90, sta considerando con più attenzione. Ma la modernità della pittura non risiede soltanto nel soggetto o nel tema, poiché c'è un modo di farsi leggere con occhi attuali anche tratteggiando cose banali e ordinarie.
Girasole (1984), una delle prime tavole di Fornasieri, sovrappone alla semplicità del fiore reciso un sapere già maturo, un'applicazione consapevole di una ricetta coloristica e formale che colpisce lo sguardo smaliziato pur nell'immediatezza iconografica. Di lì a poco si definisce il dentro dell'artista, questo spazio interno che lei esplora attentamente mescolando oggettività e autobiografismo, lucido senso della realtà e trasporto poetico, intimismo e sofferenza. Se da una parte il dentro è luogo privato, la casa come nido che ripara dalla storia (parafrasando il poeta Pascoli), dall'altra è territorio di tensioni, interrogativi, condivisione quotidiana con il dolore. Per anni Fornasieri ha posto sotto la lente d'ingrandimento questo spazio, angolo dopo angolo, particolare dopo particolare: ne sono venuti fuori altri fiori e piccole nature morte, stanze viste di scorcio e corridoi al semibuio, semplici sedie e tavoli con su posati gli attrezzi della pittura. Abituata a guardare nell'immediato attorno a sé, ha cominciato un progressivo svelamento della propria interiorità, dai toni sommessi e insieme impietosi nei confronti del proprio Io. Quell'insinuante atmosfera gozzaniana, un po' fané, deliberatamente fuori moda che possono suscitare toni cromatici e campiture gestuali, è in realtà un lento avvicinarsi al momento della verità, costruito come una sequenza cinematografica, quindi oltre la semplice dimensione pittorica, in una mise-en-scéne drammatica che ha qualcosa di ibseniano e anche di neorealista, perciò molto radicato nella cultura visiva italiana. …”
da "Dentro, fuori, lontano"
di Luca Beatrice