1989
Letizia Fornasieri, Musei Civici, Monza
A cura di P. Biscottini

"Compito della pittura non è da sempre dipingere ciò che si vede (lo diceva Leon Battista Alberti) e nel contempo trovare le cose non vedute (Cennino Cennini)?
Qui consiste l'ambiguità dell'arte, sempre. Anche di questa grande figurazione di Letizia Fornasieri.
E non è un caso che alcune delle sue opere più emblematiche - il secondo filone - siano quasi una metafora dell'ambiguo, dell'essere qui e altrove, soglia fra figurazione e astrazione, fra un mondo iconico ed uno aniconico.
La Porta di Letizia Fornasieri.
Viene spontaneo il riferimento - ma l'associazione delle idee, pur casuale, riflette uno stadio della conoscenza - alla Porta di Duchamp. Aperta e chiusa; passaggio fra il dominio dell'immaginario e quello del reale. Soglia fra il dentro -la stanza - e il fuori - la strada, la gente, il mondo. Regno intermedio e insondabile, dove si calano le domande, le attese che fino ad al-lora investivano le cose -la natura morta - i colori, la persona stessa, l'io e l'autre”. Soglia fra il luogo delle presenze familiari -la casa - e il suo fuori (Heimlich e Unheimlich). La porta diviene così lo schermo contro cui si proietta tutto ciò che è interno, familiare e proiettandosi si raffredda, si concettualizza. Forse potrebbe essere, questo, l'avvio verso un'astrazione totale, verso un azzeramento precedente la pura dimensione concettuale, in cui il colore vale a realizzare un'idea che ha in sé valore formale.
Ma ciò non avviene. …”

Estratto da "Soglia"
di Paolo Biscottini